Distrofia Muscolare di Duchenne.

Distrofia Muscolare di Duchenne: è una delle forme di distrofia più aggressive e comune.

Le distrofie muscolari sono un gruppo eterogeneo di malattie muscolari, caratterizzate dalla perdita progressiva di muscolo scheletrico che compromette la mobilità del paziente e, di conseguenza, le funzioni cardiache e respiratorie, portando ad handicap motori, respiratori e ad una morte prematura. Tra le diverse forme, la distrofia muscolare di Duchenne (DMD) è certamente una delle più aggressive e comune.

La DMD, a tutt’oggi priva di cura, colpisce 1 su 3.500 bambini di sesso maschile, essendo una patologia genetica recessiva legata al cromosoma X, ed è caratterizzata da una mutazione del gene che codifica per la distrofina, una proteina citoscheletrica indispensabile per l’ancoraggio della fibra muscolare alla lamina basale che la circonda. L’assenza della proteina distrofina a livello del sarcolemma delle fibre muscolari determina una diminuita elasticità della fibra, che da un punto di vista clinico porta al progressivo indebolimento muscolare, associato a continui cicli di degenerazione e rigenerazione delle miofibre scheletriche. Nei bambini DMD i sintomi di debolezza muscolare insorgono intorno ai 3-5 anni di età a carico di alcuni gruppi di muscoli. Il progressivo deficit di forza muscolare porta alla perdita della capacità di muoversi autonomamente fino a quando tra i 10 e i 14 anni d’età il 97% dei ragazzi DMD diventa incapace di camminare ed è destinato all’uso della sedia a rotelle. La maggior parte di essi muore entro la terza decade di vita per complicanze respiratorie e cardiache.

Numerosi progressi hanno portato alla luce una varietà di nuovi possibili approcci, dai trattamenti farmacologici alla terapia genica e cellulare con diversi tipi di cellule staminali da poco identificate. La combinazione di terapia genica e cellulare, come nel caso dell’ exon skipping potrebbe accrescere le possibilità di successo della terapia, grazie allo sfruttamento delle capacità rigenerative delle cellule staminali autologhe trapiantate. Queste ultime sono infatti isolate dallo stesso paziente e corrette geneticamente attraverso un vettore lentivirale in grado di saltare la mutazione genetica a livello della distrofina e ripristinarne il quadro di lettura, dando origine ad una proteina più corta ma funzionale. La metodica dell’ exon skipping permette di intervenire direttamente sui trascritti mutati della distrofina. Inoltre, il trapianto autologo permette di evitare il problema della risposta immunitaria che può insorgere nel caso di allotrapianto.

Ad oggi sono in corso diversi studi clinici fondati sulle promettenti tecnologie sopracitate. Tuttavia, ci sono ancora alcuni aspetti fondamentali, quali la sicurezza e i comprovati effetti benefici nei pazienti, che devono trovare un’ampia validazione prima che questa tecnologia venga impiegata su larga scala per la cura dei disordini muscolari.

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